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Dal modello – disegno, dipinto o incisione – viene ricavato un lucido sul quale sono disegnate tutte le sezioni che comporranno la raffigurazione lapidea. Questa sarà tanto più preziosa quanto più minute e numerose sono le sezioni.
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Ritagliate dal lucido, le sezioni sono incollate ciascuna sulla “fetta” di pietra (2-4 mm di spessore) ad essa destinata, tagliata piana per la faccia a vista ed eventualmente “foderata” di ardesia se molto sottile e fragile.
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Ogni fetta, fissata in una morsa, viene segata con un filo di ferro intriso di smeriglio (polvere abrasiva umidificata) e manovrato da un archetto. Il taglio deve essere leggermente inclinato verso la parte posteriore per far combaciare gli spigoli, facilitare eventuali aggiustamenti con le lime, favorire la successiva penetrazione del collante e rendere più agevole la pulitura e la lucidatura finali.
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Le sagome lapidee destinate a comporre la “pittura di pietra” sono poste a rovescio su una lastra provvisoria alla quale vengono fissate con un collante removibile.
La parte posteriore viene quindi spianata con un abrasivo a grana grossa, controllando che le due facce siano perfettamente parallele.
Sulla parte rovescia, leggermente scaldata, si versa poi un mastice caldo a base di cera d’api e colofonia al quale viene fatta aderire una lastra di lavagna che costituisce il vero e definitivo piano di posa dell’opera.
Una volta seccato il collante, si capovolge l’opera, si stacca la lastra di comodo e si pulisce la parte a vista, che si presenta opaca.
Si procede infine alla lucidatura con abrasivi di grana sempre più sottile, strofinati con una pietra e poi con lamine di piombo o tamponi rivestiti di tela.
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Eventualmente si interviene su alcune zone con un ferro rovente o una brace per ottenere artificialmente sfumature e ombreggiature.
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da Renata Massa, La Pietra nell’Arte Bresciana
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